Progetto svuota carceri

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Progetto  svuota carceri. 

Tutti parlano del problema delle carceri, ma nessuno della soluzione. Una soluzione positiva con al centro l’uomo, per ridare dignità, decoro, onore, vita, alle persone. Anche questa è giustizia.  Una soluzione con al centro anche la giustizia per gli altri, l’equità, il rispetto per gli altri. Una soluzione che non sia solo  amnistia, ma che aiuti i carcerati veramente, e non li faccia odiare perché oltre ad essere colpevoli, sono anche impuniti.  Una soluzione che li aiuti a ritrovare in loro la forza, che gli aiuti a diventare uomini veri, dignitosi e fieri. Un progetto rieducativo che intervenga sulla struttura della personalità. Che arrivi fino alle radici del disturbo della personalità che li ha portati lì.

Alla base della personalità, c’è  il vissuto del corpo. Lavorare sul corpo e attraverso il corpo, permette di arrivare alle radici della formazione della mente, all’inizio della formazione della mente, alla base di tutta la personalità. Lavorare sul corpo e  attraverso il corpo, significa anche attivare il maschile vero. Il maschile sano, il maschile positivo. Muscoli, prestanza, forza fisica. Esuberanza, competizione, potenza. Valenza, coraggio, resistenza. Praticità, concretezza. Amicizia, gruppo, collettivo, l’identità maschile. Per le donne significa ritrovare nella fisicità, nel rapporto con la natura, un contatto con la Grande Madre, con il materno buono, che accoglie, che nutre, che genera, che risana.

 

  • Sicurezza.   

Presenza dell’esercito che è pagato, è disponibile, è affidabile e non fa nessun servizio attivo in tempo di pace.  Può sostituire tutta la polizia giudiziaria nelle case alloggio, nei posti di lavoro . L’esercito  acquista  così una valenza sociale e morale molto importante e molto gradita e un ruolo di tutela.   I seguenti progetti sono indicati solo per detenuti con pene non gravi, che hanno dimostrato buona condotta. Se i detenuti  fuggono, evadono, da queste strutture protette, quando vengono ripresi, scontano tre volte quella pena che hanno evitato, oltre la successiva. Senza condoni ,  nelle carceri ordinarie.

 

  • Pena da convertire in  lavoro manuale.

Ricostruire, ristrutturare gli edifici di proprietà pubblica. Quelli abbandonati, quelli rovinati, quelli dimenticati. Ci deve essere un fine importante, sociale, basilare. Un fine buono, perché l’opera delle mani, sia anche un’opera del cuore, un costruire con il cuore. Un metterci, un attivare l’anima.  Costruzioni pubbliche che diventeranno posti, spazi  per i bambini, per i ragazzi, per i giovani, per gli anziani, per le persone malate ed emarginate. Così c’è  anche il fine e lo scopo di quello che si fa. Avete levato alla società e ora lo ridate, lo ricompensate, lo riequilibrate, facendo qualcosa di buono. Qualcosa che rimane. Qualcosa che serve e aiuta il debole e gli fa sentire forti in modo buono e in modo vero. E attiva in voi il paterno.

 

  • Residenza e costi. 

Lavoro gratuito,  pagato con lo sconto della pena,  o pagato come il volontariato civile. Costi del materiale per la ricostruzione con  fondi europei e progetti specifici.   Un lavoro che permette di alloggiare nei posti dove si lavora, o in un appartamento di proprietà pubblica  nei dintorni.  Un lavoro che permette di vivere in posti dignitosi, puliti, umani. Che permette di cucinarsi da soli i pasti. Di lavarsi, di vestirsi, di  muoversi  in spazi vivibili. Che permette  di fare amicizia, di parlare, di aiutarsi, di ritrovarsi. Di identificarsi. Questa è  una occasione per loro, è una esperienza, è una  formazione.  Se non viene raccolta, se si diventa violenti, si aggredisce, si ferisce, si ritorna nelle carceri ordinarie.

 

  • Coltivazione di spazi verdi della città.

Negli altri paesi si vedono dappertutto prati coltivati, spazi decorosi, giardini deliziosi. In Italia anche singoli comuni, hanno spazi enormi pubblici, abbandonati, rovinati, indecorosi. Lavoro  manuale, di braccia, di gambe, di giardinaggio. Per sistemare, per dare decoro.   Il contatto del corpo con la natura è l’elemento che cura più di ogni altra cosa. Perché è il rapporto, è il contatto del bambino con la Grande Madre Natura. Con la madre buona, positiva, che nutre,  che  rigenera, che ama.

 

  • Case famiglia in casolari di campagna, con terreno da coltivare. 

Convertire la detenzione in modo completo, in casolari e terreni di proprietà pubblica (stato, regione, provincia, Comune). Il casolare prima lo ristrutturano loro, e poi vivono lì e coltivano il terreno. Il materiale, i mezzi, vengono  dai fondi europei, dai  progetti europei o specifici per il recupero dei carcerati, per la lotta alla mafia, per il mezzogiorno, per le imprese, promossi dallo Stato, dal risparmio per le spese di detenzione. Finanziamenti solo per  i primi tempi, perché poi la struttura deve diventare autonoma  e vivere sui ricavi della produzione agricola. O con i prodotti derivati da convenzioni con aziende del settore: per la produzione e la vendita di uova, galline, polli, biologico, fiori, ceramica, falegnameria, artigianato. Centri e case dove si possono attivare anche delle scuole di formazione di lavoro artigianale per i  detenuti di: elettricista, idraulico, carpentiere, pittore, falegname, agricoltore, fioraio. La formazione ad un’attività lavorativa è essenziale per la reintegrazione del carcerato nel mondo lavorativo. Il reinserimento e l’adattamento sociale presuppone una nuova impostazione di vita, personale e relazionale, ma anche l’attivazione di qualità produttive, di capacità lavorative, di lavoro, di autonomia economica, che permette di non dipendere più da organizzazioni criminali e di avere un ruolo sociale onesto, dignitoso, libero e liberato.

Così il detenuto diventerà veramente liberato anche da se stesso e dalle organizzazioni malavitose o mafiose. Diventerà indipendente da loro, perché è autonomo e responsabile.  Ecco il modo di recuperare e di rieducare. Ecco un modo vero di sconfiggere la mafia.

 

 

 

 

 

Dr.ssa Maria Grazia Vallorani

 

 

© 2011 – Tutti i diritti riservati. Il presente testo è liberamente riproducibile per uso personale con l’obbligo di citarne la fonte ed il divieto di modificarlo, anche parzialmente, per qualsiasi motivo. E’ vietato utilizzare il testo per fini lucrativi. Per qualsiasi altro uso è necessaria l’espressa autorizzazione dell’autore. Pubblicato nel 20011, online da Gennaio 2013. Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.

 


I ricoveri degli anziani

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Gli anziani.

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L’anziano non è solo un problema sociale, non è solo un problema economico. È un problema morale e civile e spirituale. Da come risolveremmo il problema degli anziani, si capirà chi siamo. Si definirà l’identità di un popolo.

 

I ricoveri degli anziani.

I ricoveri degli anziani sono diventati simili agli istituti dei bambini di una volta. Ai collegi. Posti dove venivano contenuti, rifugiati, ammassati, gestiti, controllati, i bambini che non si potevano tenere a casa, quelli che non si gestivano, quelli che rimanevano soli. I collegi, dove, oltre al dolore per la violenza della vita, si subiva una ulteriore violenza, con la perdita della propria libertà, con la perdita della propria individualità, con la perdita della propria intimità. A volte anche con la perdita del proprio cuore e della propria anima.

Istituti che non venivano mai controllati perché erano coperti, riparati, nascosti e a volte anche promossi dal potere dei potenti, dell’economia, dei partiti e delle istituzioni. Istituti convenzionati che assorbivano moltissime risorse economiche pubbliche per ogni bambino.

I ricoveri per gli anziani assomigliano anche agli ospedali. Posti dove è garantita la camera, l’assistenza di pulizia, infermieristica e sanitaria e una sala grande e comune dove potersi appoggiare. Spazi comuni. Tutto è in comune. Anche il dolore è in comune. Mescolato, unificato, visibile, mostrato, imposto. Un dolore che diventa così collettivo, dominante, oppressivo, violento, distruttivo.

Cosa fare? Bisogna cercare soluzioni nuove, efficienti, umane. Ne propongo alcune.

 

Al centro la persona.

Quale è il perno, l’elemento centrale, quello a cui fare riferimento per organizzare il tutto? La persona! Se si vuole un progetto efficace, va a messa al centro la persona, con la sua dignità, libertà, autonomia, unicità e originalità. Quindi non l’interesse, la convenienza, il guadagno, i soldi, gli accordi di potere o istituzionali. La persona sempre, comunque, nonostante, soprattutto.

Questa è la scelta principale.  La persona  non solo al centro, ma  alla base, alle fondamenta di tutto. Sulla base di questa scelta, di questo valore principale infatti si fondano tutte le scelte successive. La scelta del chi, del dove, del come, del quando  e del quanto. È la pietra angolare sulla quale si costruisce la futura casa, su cui poggia tutta la casa. Il perno a cui fare riferimento quando non si sa che fare. Il riferimento, la rotta, la bussola, per orientarsi quando non si sa dove andare.

Scelta del pubblico.

Contributi regionali di Asl, e di comuni, tutti convogliati in strutture private convenzionate. È come la rete idrica, se ci sono delle perdite, l’acqua non arriva e viene dispersa. La stessa cosa succede per i finanziamenti pubblici. Come per l’acqua, propongo una gestione diretta del pubblico. Una gestione pubblica  regionale delle nuove strutture di ricovero, oppure una gestione indiretta da, e cioè privata e convenzionata ma controllata direttamente dalla struttura pubblica del posto, cioè dal Comune, o dai comuni associati, o dall’ambito territoriale.

Quindi nessun costo ulteriore per le istituzioni o i comuni, oltre a quelli previsti per legge. Sicuramente però un guadagno. Come per l’acqua. Lo stesso gettito, ma, essendo state riparate le perdite della rete, essendo stati riparati e chiusi i buchi che provocavano una fuoriuscita di acqua in posti e in terreni privati, l’acqua ora arriva tutta, sicura, in terra, nei posti giusti e alle persone giuste. Quindi più acqua di prima con la stessa spesa. Più qualità di prima con la stessa spesa. Più sicurezza di prima con la stessa spesa. Più dignità, giustizia, umanità, di prima con la stessa spesa.

 

Centro di coordinamento tecnico.

Quello che disorienta i comuni  è di solito il rifiuto o la difficoltà di sobbarcarsi una responsabilità ulteriore diretta. Perché significa più soldi, più personale, più ore, più fatica, più problemi. Per questo  si delega e ci si affida al privato.

Ecco, niente di tutto ciò. Il comune o i comuni associati, devono solo scegliere tre specialisti, tre professionisti privati che costituiscono un centro di coordinamento tecnico. Un centro privato, però promosso, voluto e impostato dal pubblico. Nessun aumento di spese, nessuna assunzione, per stare nei limiti della normativa. Ma solo una convenzione con il centro, che si muove in forma autonoma e privata. Ma è promosso, scelto, organizzato, dal pubblico. Parte dal pubblico, con il pubblico e nel pubblico e al pubblico risponde, nel suo statuto.

Un Centro di coordinamento tecnico, con tre specialisti: un medico e due psicologi. Giovani professionisti del posto, preparati, capaci e conosciuti. Un gruppo che deve promuovere e coordinare tutte le iniziative e le strutture nuove per gli anziani del posto. Che dovrà organizzare  gli interventi  specifici. Che dovrà curare gli aspetti tecnici. Dovrà gestire direttamente il personale. Potrà così controllare, verificare, e dove, il come il quando e il quanto di tutta la rete di servizi per gli anziani, in tutte le sue diverse forme.

Un Centro che si paga da solo. Autonomo, che si mantiene con i contributi mensili da parte di ogni anziano assistito. Dai 50 ai € 70 mensili per ogni anziano assistito, sia a domicilio che nel condominio degli anziani  e nelle case famiglia.

Un centro quindi  scelto, promosso, controllato, verificato direttamente dai comuni e anche da un comitato di base, tipo azionisti, composto dai rappresentanti degli anziani e dai loro familiari. Di chi cioè usufruisce di quelle prestazioni. Quindi diventa una un organismo pubblico, perché è privato, e convenzionato con il pubblico, ma è impostato e verificato dal basso  dal comitato di anziani e dall’alto, dal Comune o dai Comuni che lo hanno promosso e organizzato.

Il Comune può scegliere i migliori professionisti giovani del posto o loro si possono proporre per un progetto simile. Scegliendo i tipi di iniziative che indicherò, o altre che si adattano alle esigenze del singolo territorio e degli utenti anziani a cui vengono rivolte.  Per essere sicuri che l’iniziativa risponda alle esigenze e i  bisogni del territorio, si potrebbe fare anche una indagine, un questionario, da sottoporre ai singoli anziani e si i loro familiari, chiedendo di pronunciarsi su alcune proposte,  sul tipo di struttura, sul tipo di residenza preferito e sulle attività specifiche da promuovere. 

In pratica  si imposta un sistema promosso, unificato, integrato, controllato e verificato dalle Istituzioni Regione, Asl, Comuni) con al centro  l’equipe  di Coordinamento Tecnico.  Una  rete  di servizi.   ( Vedi tabella n° 1  Rete Servizi anziani )

Ecco alcune proposte nuove di assistenza e di residenza per gli anziani autonomi e non autonomi:

  • Assistenza domiciliare. Prevenzione e cura.
  • Anziani autonomi. Condominio degli anziani
  • Anziani autonomi.  Appartamento singolo
  •  Anziani autonomi. Appartamento doppio
  • Anziani non-autonomi.  Casa famiglia.  Appartamento triplo
  • Istituto di Ricovero e cura per anziani  privato e convenzionato
  
 
 

Dr.ssa Maria Grazia Vallorani

  

© 2011 – Tutti i diritti riservati. Il presente testo è liberamente riproducibile per uso personale con l’obbligo di citarne la fonte ed il divieto di modificarlo, anche parzialmente, per qualsiasi motivo. E’ vietato utilizzare il testo per fini lucrativi. Per qualsiasi altro uso è necessaria l’espressa autorizzazione dell’autore. Pubblicato nel 20011, online da Gennaio 2013. Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.


Pensiero come forma.

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Pensiero come forma.

Lo spazio è un luogo vuoto dentro il quale si collocano e si muovono i corpi e appare illimitato. La parola viene dal latino:” pateo-ere” che significa essere aperto, essere esposto. Lo spazio quindi è qualcosa di aperto e illimitato, quindi di per sé non ha limitazione o confine.

La forma di un oggetto della realtà è quella che dà un confine ad uno spazio e quindi gli dà un’estensione, un’ampiezza, una grandezza e una larghezza. La forma dà un limite entro il quale l’oggetto e lo spazio che occupa, viene definito. Definire viene dal latino: de-finis = confine interno e viene da “ definire” che significa delimitare, circoscrivere e anche stabilire, determinare, assegnare.  Dando un’estensione allo spazio la forma permette anche  di poterlo misurare.  In questo modo  dà anche consistenza all’oggetto della realtà,  che può essere così  individuato e riconosciuto.

Lo stesso succede con il pensiero. All’inizio tutto appare come un insieme indistinto fuso e confuso, dove ogni cosa è parte di un tutto e non esiste un confine. Per poter comprendere qualcosa è necessario che questo venga definito, che trovi cioè  il suo limite rispetto a tutto il resto, che trovi così la sua forma.

L’idea infatti, nel momento in cui viene pensata, deve passare attraverso una forma, o figura o immagine che la rappresenta. Anche le idee più astratte si basano su altre idee o concetti che a loro volta sono scaturiti da immagini e da forme.

 In latino la parola forma significa figura, immagine, aspetto, fattezza. Ma anche cornice, tracciato, pianta, abbozzo dentro il quale si colloca una idea. La forma è la cornice  entro la quale lo spazio diventa visibile e quindi comprensibile. È  il tracciato che permette quindi all’idea di avere consistenza e di essere compresa.

La parola forma in latino significa anche aspetto, organizzazione, costituzione, disegno. Ciò implica che la forma è anche una organizzazione, una costituzione di un ordine (significa anche norma). È qualcosa quindi che dà un ordine che permette di organizzare le cose secondo una unità di misura, una quantità, infatti la forma permette di misurare l’altezza, la lunghezza, la larghezza, la profondità, la grandezza. Si rifà quindi al numero che è un archetipo.

Ogni movimento energetico psichico si manifesta attraverso una forma, un’immagine. Senza la forma non c’è consistenza, non c’è possibilità di prendere coscienza e quindi di conoscere.

 

Modello.

La parola forma significa anche  tipo, modello. La forma indica un modello, un’idea di base che permette di raccogliere più elementi, più idee. È un denominatore comune che può raccogliere aspetti diversi tra di loro. Nella storia della filosofia spesso la parola forma è stata associata alle idee o all’anima delle cose (Platone, Aristotele) e in Platone la parola forma era identificata con l’idea e indicava il modello da dove derivava e a cui si riferiva  tutta la realtà fisica.

 

Schema.

La parola forma significa anche schema. Lo schema permette di ordinare degli elementi, e anche delle idee. Un’idea caratterizzata da una forma può essere messa in relazione con le altre idee attraverso uno schema.

 

Impronta.

La parola forma in latino significa anche impronta, stampo. Nel momento in cui un’idea diventa forma, diventa anche uno stampo, un’impronta che viene disegnata o incisa in modo definito. Se poi le idee si collegano tra di loro attraverso più forme, formando uno schema, è lo stesso schema che diventa un’impronta, qualcosa che si stampa, si incide nella struttura mentale e quindi può facilmente essere ritrovato e ricordato.

 

Come esercizio il genitore  può quindi cominciare a definire gli oggetti o le immagini o le parole o i concetti separandoli e distinguendoli mettendoli dentro a delle forme specifiche diverse tra di loro.

Per individuare la forma ci si può rifare anche alle forme geometriche di base: cerchio, triangolo, quadrato, rettangolo, esagono. Queste forme che servono per definire una realtà, provengono in quanto archetipi, dall’inconscio collettivo. Secondo la psicologia analitica junghiana il cerchio è un simbolo che rappresenta la totalità (come il n°1), il triangolo rappresenta il flusso dinamico (come il 3), il quadrato di nuovo la totalità (come il 4), il pentagono la totalità integrata con il numero creativo (come il 4 +1 = 5). (7)   Usare le forme significa quindi attivare simboli che portano alla coscienza elementi profondi e carichi di significato e di senso.

 

 I genitori o gli educatori possono quindi insegnare ai bambini e i ragazzi ad organizzare dei discorsi o racconti o riassunti di storia cominciando a dividerli in parti. Le parti possono essere esaminate e individuate come: causa, elemento centrale, effetto, conseguenza, conclusione. Ogni parte andrebbe caratterizzata da una specifica forma  colorata che contiene il concetto espresso con una sola parola-chiave.  Si possono quindi  collegare le forme tra di loro con dentro i concetti, individuando le frecce e i percorsi che indicano il movimento progressivo del racconto. Si ottengono così degli schemi composti con delle forme tra di loro organizzate, che esprimono il discorso nel suo insieme. ( Vd Tabella 3  Tabella 3).

 

Gli schemi.

Lo schema ottenuto diventa a sua volta una forma nuova.  Lo schema può diventare uno schema a croce, uno schema a ruscello, uno schema a scala, schema Olimpiadi, concentrico, a spirale,a piramide, a discesa. 

Lo schema del terzo, dove il terzo è l’elemento centrale, cioè il concetto che integra due concetti opposti, insegna non solo a trovare una relazione o una mediazione tra due aspetti che sembrano totalmente diversi, ma insegna qualcosa di più importante e cioè che gli opposti nella vita sono naturali e che è necessario un terzo elemento che risolve la separazione e il conflitto e che è capace di integrarli differenziandosi da loro.  Si scrive nella forma il concetto espresso con una parola chiave o con poche parole sintetiche. Nelle due parti opposte i due concetti contrari e al centro quello che li riassume. Esempio bianchi e neri e al centro umanità. Razionalismo e romanticismo e al centro storia o evoluzione.

Lo schema degli opposti dà l’idea che qualcosa di centrale, caratterizzato dal cerchio, simbolo dell’unità e delle interezza, può integrare più elementi tra di loro: esempio fuoco e acqua, terra e aria, sole e luna, caldo e freddo, umido e secco  e al centro la natura, oppure: maschile e femminile, vecchio e giovane, e al centro la persona.

Schemi direzionali dove archi e frecce collegano a piacimento concetti in tutte le forme e colori, dove all’interno è inserita una parola -chiave che sintetizza il concetto.

Schemi sociali. Lo schema giornalistico è molto indicato per l’organizzazione di un racconto di un tema. Lo schema a podio o a gradini può essere usato per mettere in una posizione graduale concetti simili.

Lo schema grafico può servire a indicare in modo sintetico come alcune mentalità o idee possono essere state vissute in diversi continenti o in epoche diverse. ( vd. Tabella n.3. Clicca sopra a:  Tabella 3 )

Ci sono poi le forme naturali che sono costruite con elementi presenti in natura e quindi impressi già nella psiche e più facili da ricordare e da costruire.

Lo schema cellula-ovulo può servire quando da un concetto unico o da un periodo culturale o storico unico, derivano per scissione altre due, che poi diventano quattro. Lo schema a fiore al centro il concetto principale e poi tutte le succursali o i concetti simili intorno. Lo schema ad  abete può avere a che fare con concetti di tipo spirituale che sono in alto e altri più materiali in basso in modo decrescente. Lo schema ad albero può avere nel suo tronco tre concetti basilari in forma crescente dal basso verso l’alto, che si esprimono in altre forme e nuovi percorsi =  i rami e che a loro volta danno vita a nuove conseguenze = i frutti. Lo schema figura umana permette di individuare le correlazioni tra aspetti razionali (testa) e aspetti emotivi (cuore) e altri che determinano il movimento ( gambe e braccia). (vd. Tabella n.4. Clicca sopra a:  Tabella 4   )

 

Tutti questi schemi impostati  con forme diverse, sono molto utili per ordinare concetti, ma ancor più per assimilarli. Il bambino o il ragazzo che riesce a costruirli o ad usarli mettendo dentro le parole chiave, che riesce a individuare il concetto centrale e distinguerlo da quello secondario o dalla conseguenza o dalla conclusione, ha veramente compreso un argomento. Questa modalità contribuisce quindi non solo ad impostare, ordinare e assimilare, ma  anche a verificare  l’avvenuto apprendimento.

Fissare i concetti in una forma o in uno schema permette al ragazzo di ricordare tutto il discorso in una immagine unica e immediata. Poiché l’ha individuata lui e l’ha costruita con fatica è diventata sua, si è colorata di sforzo, fiducia in sè, soddisfazione per la conquista,  è diventata familiare e difficilmente viene dimentica.

 

 

 

 

 

 Dr.ssa  Maria Grazia Vallorani 

© 2011 – Tutti i diritti riservati. Il presente testo è liberamente riproducibile per uso personale con l’obbligo di citarne la fonte ed il divieto di modificarlo, anche parzialmente, per qualsiasi motivo. E’ vietato utilizzare il testo per fini lucrativi. Per qualsiasi altro uso è necessaria l’espressa autorizzazione dell’autore. Pubblicato nel Marzo 2011, online da Gennaio 2013. Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.


Pensiero come tempo.

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Pensiero come tempo.

La parola tempo viene dal latino”tempus” che a sua volta viene dal greco”temno” che significa taglio, sezione, divisione. 

Il tempo permette di poter tagliare, separare gli elementi che compongono un evento, un’esperienza, una variazione. senza la separazione di questi elementi non ci sarebbe una differenziazione, una definizione, una collocazione di un evento in uno specifico posto, ma ci sarebbe un tutto unico indifferenziato e incomprensibile. Per poter cogliere le variazioni e il dinamismo delle cose, la coscienza tende a misurarle in istanti secondo una successione continua.   La misura è determinata da una quantità e la quantità dai numeri che sono l’elemento base che permette una successione ordinata e continuativa.  Gli istanti sono catalogati in secondi, con i loro multipli: minuti, ore, giorni, mesi, anni, secoli e i sottomultipli: decimi di secondo, centesimi di secondo eccetera.  Nella cultura cinese  i numeri sono indici del tempo, caratterizzanti la qualità di ogni momento. 

Anche il pensiero, come ogni cosa esistente, è determinato da un movimento energetico e quindi da un dinamismo. Il tempo in quanto taglio o divisione è un suo aspetto basilare. Ogni pensiero infatti per esistere, deve distinguersi, deve differenziarsi  dal tutto e deve essere tagliato dal contesto. Anche se io penso di pensare, nel momento in cui ho la coscienza del mio pensiero, ho già fatto un taglio, una distinzione tra me e gli altri e tra il mio pensiero e la realtà materiale. Non esiste quindi pensiero senza tempo. Il pensiero è esso stesso una successione ordinata e organizzata di elementi piccoli distinti gli uni dagli altri: la parola nei suoi multipli: frasi, concetto, discorso e i suoi sottomultipli: lettere, vocali, consonanti, esclamazioni, suoni.

Comprendere il pensiero come tempo, nel suo essere in movimento, nel suo aspetto evolutivo, permette di coglierne l’aspetto energetico e dinamico in continua trasformazione.  Applicare il tempo al pensiero permette di cogliere il pensiero in parti che si muovono verso un punto che li riassume. Pensiamo all’orologio e al tempo come alla lancetta dell’orologio che indica il movimento. Pensiamo ai minuti come alle parole e al numero delle ore come un punto di arrivo di un concetto, per poi andare a quello successivo attraverso altre parole, fino a costruire un discorso che corrisponde a un giro dell’orologio, a un’ora. Questo per dire che per esprimere un discorso è importante avere in testa una programmazione di concetti ordinati  in una successione temporale.

 

Il movimento.

A differenza dei numeri e delle forme, con il tempo l’elemento fondamentale è il movimento e il movimento in avanti oppure indietro. Il tempo permette al pensiero di orientarsi in diverse direzioni (passato e futuro) senza perdersi, perché può sempre ritrovarsi attraverso l’istante del presente che è fissato al centro. Attraverso il tempo il pensiero può pensare al prima e al dopo di un oggetto, immagine o concetto o azione.

Per sviluppare questa capacità si può quindi fare esercizio con i bambini nel ricercare riguardo agli oggetti concreti gli elementi della natura o le azioni o i concetti, la loro storia.  Esempio – gallina, come nasce come vive come muore. Albero, come nasce come vive come finisce. Le azioni, cosa è successo prima, cosa dopo è come andrà a finire. Il concetto, come è nato quel modo di pensare, come si è sviluppato e come potrà trasformarsi nel futuro.

Questo modo di pensare permette una elasticità del pensiero, permette di sviluppare l’aspetto dinamico e in particolare permette di mettere una conoscenza al suo posto in una serie successiva di eventi. Permette ancor più di capire che ogni cosa non esiste mai in sè, ma ha sempre un qualcosa da cui è scaturita e un’altra in cui può trasformarsi o evolversi.

 

Questi esercizi impostano un modo di pensare  nuovo, dinamico che è in sintonia con l’essenza della realtà fisica e psichica che è sostanzialmente energia. Vivere le cose da apprendere, i concetti e pensieri, come elementi statici, fermi, immobili, come oggetti  da prendere in uno scaffale e da riporre quando non servono più, non corrisponde al processo vivo e vivificante della mente umana. I pensieri e concetti non sono cose da usare o da sistemare, ma sono essi stessi gli elementi naturali che sgorgano da dentro e che vanno verso il futuro, sono la spinta cosciente verso la realizzazione di sé.

Un altro esercizio importante che si potrebbe fare è quello di valutare un oggetto o o concetto non solo nella sua storia personale (come è nato e come muore) ma anche nella storia collettiva di un singolo popolo o dell’umanità.

Per esempio il fuoco può essere studiato nel processo dinamico dalle origini ad oggi e, con le ipotesi fino al futuro. Se ne può valutare l’aspetto oggettivo ( la scoperta della scintilla, il camino, i forni industriali, l’energia atomica), ma anche l’aspetto sociale (l’importanza per quel periodo) la sua funzione (benessere o distruzione) l’impatto emotivo che ha creato nella storia (calore, benessere, paura, terrore) la sua assenza (freddo polare, mancanza di vita) il suo eccesso (siccità, mancanza di vita) in alcune regioni del mondo (Africa, polo nord).

Si può poi caratterizzare un elemento o un concetto nella storia di un particolare popolo o nazione o cultura o religione e rilevarne le differenze e confrontarle.

 

 

 

 

 

 Dr.ssa  Maria Grazia Vallorani 

© 2011 – Tutti i diritti riservati. Il presente testo è liberamente riproducibile per uso personale con l’obbligo di citarne la fonte ed il divieto di modificarlo, anche parzialmente, per qualsiasi motivo. E’ vietato utilizzare il testo per fini lucrativi. Per qualsiasi altro uso è necessaria l’espressa autorizzazione dell’autore. Pubblicato nel Marzo 2011, online da Gennaio 2013. Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.


Pensiero come senso.

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Pensiero come senso.

Senso viene dal latino “sentire” e significa provare, sperimentare imparare a conoscere, scorgere il significato di qualcosa. La parola significato viene a sua volta dal latino “significare” ed è composta da “signum facere” ed è tradotta con una indicare, annunciare, mostrare, far vedere.

Il senso quindi è un’esperienza di un annuncio, di una indicazione, di qualcosa di non conosciuto che si mostra. E’ l’esperienza del transpersonale, della finalità. 

 Comprendere il senso delle cose o degli eventi attraverso il pensiero, vuol dire cercare in profondità quello che non appare, quello che non si conosce, quello che  indica l’orientamento e la finalità. Il senso anima anche lo stesso pensiero. È il suo inizio e la sua finalità.

Per conoscere a fondo un evento o un modo di pensare non basta misurarlo, organizzarlo, usarlo, ma significa anche sperimentarlo fino in fondo e cercarne il significato, l’indicazione di qualcosa che ancora non si conosce. Così conoscere diventa ricercare, sperimentare, scoprire.

La scoperta deve però essere aperta non solo a tutto ciò che è logico, razionale, misurabile, ma anche a ciò che è irrazionale. Gli aspetti inconsci ed emotivi spesso nascondono le risposte a tanti fattori od eventi  incomprensibili da un punto di vista logico. Le tendenze innate, le predisposizioni ereditarie che Jung chiama archetipi, sono spesso alla base di spinte energetiche potenti, sia a livello personale che collettivo, che indicano percorsi sconosciuti e carichi di senso per quella persona o per quel popolo.

Per poter veramente capire un modo di pensare, di essere, un ‘azione, bisogna collocarlo oltre che a livello razionale, nel contesto ambientale, sociale, storico ma anche emotivo di quel soggetto o di quel popolo. Considerare quindi il sentimento, il vissuto emotivo e l’unicità di quella specifica persona o popolo permette di comprendere il suo pensiero in modo veramente completo.

Ma il senso va ancora più in là, include un significato che è di per sé un annuncio di qualcosa che si può scoprire e conoscere solo quando si manifesta. Si può cercare, individuarne i segnali e le indicazioni.

Si può educare a pensare al perché. La società odierna, carica di informazioni, distribuisce continuamente dati a volte già programmati già organizzati, come un prodotto  pronto per essere consumato. Sempre più raramente si prospetta un perché e anche quando avviene è già preconfezionato e pronto per l’uso.

È importante:

  • impostare una ricerca del perché, dei significati, della provenienza,  dell’orientamento e di dove potrebbe andare a confluire quel pensiero o quell’azione.
  • ricercare delle risposte senza farsi condizionare, confrontandosi, rimanendo aperti ad ogni possibilità.
  • avere la coscienza che quello che si trova non è la verità assoluta, ma è solo un contributo significativo, originale a una comprensione più profonda.
  • sapere che quello che conta è impostare un fatto in un processo dinamico, in un quadro più vasto di quello sperimentato a livello personale.

 

Si  può educare il ragazzo a domandarsi il perché di un evento o di un modo di pensare. Si può ricercarlo insieme, può ricercarlo con i suoi amici.  E’ errato porsi come coloro che sanno tutto, ma come coloro che non sanno ancora e che scopriranno insieme a lui qualcosa in più. Così il ragazzo si sentirà veramente protagonista e si attiveranno in lui la sua originalità e creatività.

Particolarmente riguardo la storia e le scienze il perché porta a volte ad aspetti originali  che piacciono ai ragazzi perché sono imprevisti e nuovi. È fondamentale che la storia venga approfondita per poter capire quella attuale in quanto questa si pone in continuità con il passato. (19)  Si può impostare un argomento storico insegnando a collegarlo in tutte le sue variabili: fisiche, storiche, sociali, economiche, culturali, emotive; ma in particolare ricercando insieme i canali, i processi, i fili che lo uniscono ad altri del passato, e individuare i possibili orientamenti nel futuro.

 

In questo modo si imposta un modo di pensare, un  metodo di comprensione di un evento che può essere applicato in modo automatico anche ad altri campi. Tutto ciò contribuisce a formare dei ragazzi un pensiero autonomo, libero e responsabile e in particolare aperto ha un significato, aperto a un senso.

 Così anche la propria vita può essere intesa nel suo significato e nel suo senso e può essere realizzata nella proprio unicità, irripetibilità e originalità. 

“L’uomo ha assolutamente bisogno di idee e convinzioni generali che diano un significato alla sua vita e che gli permettono di individuare il suo posto nell’universo. Quando è convinto che esse abbiano un senso, egli trova la forza di affrontare le più incredibili avversità; viceversa egli si sente sopraffatto quando si trova in una vicenda senza senso. Il senso di un significato superiore dell’esistenza è ciò che innalza l’uomo al di sopra delle sue condizioni elementari.” 

Il pensiero inteso come coscienza che riflette,  permette di cogliere il senso  non solo della propria vita individuale, ma anche della stessa umanità. Jung infatti attribuisce all’uomo, in quanto unico elemento della natura capace di riflettere e di comprendere dei significati, la possibilità di prendere coscienza della creazione.

Una creazione, senza nessuno che sia in grado di accoglierla, di comprenderla e di mettersi in una relazione libera e responsabile con essa, non avrebbe senso. L’uomo quindi acquisisce la sua ragion d’essere e realizza il senso della natura, nel momento in cui la riceve, ne prende coscienza, riflette ed ha la possibilità di riconoscere in essa il suo creatore.

 “Poiché una creazione non ha alcun senso riconoscibile senza la coscienza riflettente dell’uomo, con l’ipotesi del senso latente si attribuisce all’uomo un significato cosmogonico, una vera e propria raison-d’étre. Se invece al creatore viene attribuito il senso latente come inconscio progetto di creazione, ci si chiede perché il creatore avrebbe dovuto organizzare tutto questo fenomeno universale, dal momento che egli già sa ove potrebbe rispecchiarsi e perché dovrebbe rispecchiarsi, dal momento che è già autocosciente. Perché avrebbe dovuto, accanto alla sua onniscientia, creare una seconda coscienza inferiore? in un certo senso miliardi di opachi specchietti, dei quali già conosce in anticipo l’immagine che vi si riflette?” 

“Il significato della coscienza è così grande, che non si può fare a meno di supporre che in tutto l’immenso apparato biologico, apparentemente privo di senso, si trovi nascosto l’elemento del senso, che ha trovato per caso la via per manifestarsi a livello del sangue caldo e d’un cervello differenziato, senza programmi, ma per presentimenti, sensazioni, tentativi alla cieca, impulsi.” 

 

 

 

 

 

  Dr.ssa  Maria Grazia Vallorani 

© 2011 – Tutti i diritti riservati. Il presente testo è liberamente riproducibile per uso personale con l’obbligo di citarne la fonte ed il divieto di modificarlo, anche parzialmente, per qualsiasi motivo. E’ vietato utilizzare il testo per fini lucrativi. Per qualsiasi altro uso è necessaria l’espressa autorizzazione dell’autore. Pubblicato nel Marzo 2011, online da Gennaio 2013. Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.


Pensiero come ritmo.

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Pensiero come ritmo.

Ritmo.

La parola ritmo viene dal latino “rhythmus che a sua volta viene dal greco “rhythmos “ corradicale do “rhein” che significa fluire. Quindi il ritmo è la manifestazione del fluire, del divenire del movimento energetico. In particolare indica una forma di movimento che avviene in una successione regolare e ciclica.

 In natura tutto ciò che è vitale è caratterizzato da un ritmo e da un movimento ciclico. L’alternarsi delle stagioni, del giorno e della notte , il movimento degli astri, il pulsare del cuore e del respiro, l’attività delle cellule e persino la stessa energia dell’atomo e delle particelle hanno tutti caratteristiche di periodicità e di ciclicità.  Anche la stessa energia in quanto vibrazione ha un alternarsi ritmico.  Si potrebbe dire quindi che il ritmo è basilare e archetipico.  Secondo Jung il movimento ritmico è la manifestazione dell’energia psichica sul piano culturale e spirituale. 

Il ritmo esprime  una sequenza costante di un movimento in modo regolare e ordinato. La parola  “arhythmos” in greco significa numero è infatti la scienza dei numeri si chiama aritmetica. I numeri infatti sono la maggiore espressione di una successione ordinata e regolare.

Il pensiero, in quanto funzione vitale  è di per sé un movimento energetico ed è correlato anche ai ritmi e alle funzioni organiche del cervello. Il pensiero funziona secondo una scansione di tempi e di accenti, come nella musica.

Musica.

 Ci sono molte correlazioni tra il pensiero e la musica. In musica si parla di scrittura e lettura dello spartito. L’accento musicale è definito tesi (il levare è l’arsi e il battere è la tesi ). C’è il discorso musicale libero, naturale, armonico o espressivo. C’è la frase e la semi fase che è affermativa, negativa o differente o contrastante. Si parla di proposta dell’inciso e di risposta. L’insieme delle frasi, sempre in musica, forma il periodo musicale. Il periodo è l’espressione di un pensiero musicale completo. Si parla delle irregolarità ritmiche che sono frasi naturalmente nate e architettate in quel modo. All’interno del periodo musicale ci sono l’estensione, la contrazione, la progressione, l’elisione come per il pensiero logico.

Canto.

In passato il pensiero espresso in forma di versi, era caratterizzato dal ritmo, dalla metrica e rappresentava un canto. “ Cantami o Diva del pelide Achille…” inizia  l’Iliade. Il canto e la musica erano caratteristiche degli dei, la parola musica viene infatti da Muse.

 Se quindi si educano i bambini e i ragazzi ad un pensiero espresso in forme ritmiche, come le poesie, li si aiuta a recuperare un dinamismo costante del pensiero in una progressione ordinata e ciclica. Impostare un accento e una cadenza regolare aiuta la mente a pulsare in modo costante vivificante. Abituarsi ad un ritmo traccia un percorso, un modo di procedere sistematico, regolare. Dà sicurezza, tono, vitalità al pensiero.

 Suono.

Il ritmo da solo evoca suggestioni e movimento. Si pensi che il primo suono che il bambino ode nella pancia della madre è il ritmo del suo cuore e del suo respiro. È un ritmo che ritrova nel dondolio della culla e nella ninna nanna cantata. Ritorna con le filastrocche durante i giochi da bambini ed è necessario che continui ad essere coltivato con le poesie, adeguate alle emozioni dell’età.

Quando il ritmo si sposa con un’emozione, allora diventa un elemento propulsore fondante, non solo per il pensiero ma anche per la stessa personalità.

 La musica può quindi dare molti spunti per una formazione del pensiero.

Si può cominciare con un semplice pensiero spontaneo del bambino o del ragazzo e poi chiedergli di riproporlo:

  • in forma positiva e poi negativa.
  • di metterlo sotto forma di proposta e poi di risposta.
  • di esprimerlo secondo un ritmo: veloce o lento, lungo o corto, forte o debole,
  • secondo una diversa tonalità: autoritario o passivo, aspro o dolce, autorevole o stupido.
  • con espressione intensa o leggera: (concetto sostanzioso, serio, importante oppure  superficiale)
  • con espressione maggiore o minore (con concetti elevati, spirituali, universali o con concetti particolari, egoistici).

 

Prendendo spunto dall’espressività musicale si può giocare a di impostare lo stesso pensiero in modi diversi: allegro, allegretto, triste, andante, molto vivace, vivace ma non troppo.

In questo modo si può imparare ad impostare un pensiero secondo ritmi diversi. Ma si può anche fare il contrario e cioè trovare  il ritmo di un pensiero e riproporlo con i suoni o con la danza.

Si può quindi giocare a riproporre l’esposizione di un pensiero che viene ascoltato, creando un ritmo che gli corrisponde. Il ritmo può essere costruito con un oggetto che corrisponde al tono del concetto o alla tonalità della voce di chi lo propone. Durante l’esposizione del discorso cambia ritmo a seconda del variare del tono o dei concetti. In questo modo un discorso diventa musica.  Quando dei concetti diventano suoni e musica possono essere compresi da ogni popolo. Si basano infatti sul suono e sul ritmo che sono archetipici e transpersonali, appartengono ad ogni individuo e sorgono spontanei dal profondo dell’inconscio collettivo.

 Si può allo stesso modo danzare un discorso. Esprimere con il ritmo del movimento del corpo la tonalità dei concetti o l’intensità o la lentezza o la vivacità, la tristezza, mano a mano che vengono esposti da qualcun altro. Si compone così una danza che cambia secondo le variazioni delle tonalità dell’esposizione.

 Si può cantare un discorso. Si può mettersi in sintonia con la tonalità dei concetti, attraverso dei suoni vocali, senza parole, che risuonano o suonano il pensiero. Una volta le odi e le poesie si chiamavano canti e avevano spesso un coro che li accompagnava.

 Si può imparare a recitare un discorso, dando un’espressione alla voce forte, secondo l’intensità del concetto con la sua espressione allegra o giocosa, o triste e malinconica.

 Si può dipingere un discorso, mentre un altro espone, esprimendo con i colori e le forme le suggestioni dei concetti e della voce di chi lo esprime, le variabili e cambiamenti.

 Si può scolpire un discorso attraverso una manipolazione di una materia plastica, facendosi trasportare dall’emozione e dalla suggestione che nasce durante l’esposizione e la narrazione dei concetti.

 Un pensiero è una manifestazione di energia che può essere in grado di passare e diventare energia in una forma diversa e quindi di diventare musica, danza, canto, di segno, scultura. Se un pensiero non passa e non attiva nessuna creazione e perché è freddo di per sé, oppure non è vissuto veramente da chi lo esprime.

 

 

 

 

 

 Dr.ssa  Maria Grazia Vallorani 

© 2011 – Tutti i diritti riservati. Il presente testo è liberamente riproducibile per uso personale con l’obbligo di citarne la fonte ed il divieto di modificarlo, anche parzialmente, per qualsiasi motivo. E’ vietato utilizzare il testo per fini lucrativi. Per qualsiasi altro uso è necessaria l’espressa autorizzazione dell’autore. Pubblicato nel Marzo 2011, online da Gennaio 2013. Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge.