Educare al sentimento

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Educare al sentimento

 

Il sentimento.

Il sentimento è la capacità di dare  un giudizio di valore a una cosa; di valutare l’importanza che un oggetto della realtà ha per una persona.

È una valutazione soggettiva perché il valore viene attribuito sulla base delle sensazioni di piacere, dispiacere, se è bello, se è gradito. Ma è anche la capacità di capire i valori sostanziali delle cose, di saper giudicare se una cosa è positiva o negativa, se conta o è insignificante.

Educare al sentimento significa quindi insegnare ai bambini a cogliere l’importanza delle cose, a dare un valore alle cose che hanno conosciuto con il pensiero. Significa anche imparare a saper mettere in relazione i valori; a selezionare quelli più importanti e quelli meno,  a saper impostare  con giudizio una scala di valori.

Nella nostra società questa funzione l’hanno assunta i mass media, le TV, i programmi che sono finalizzati a valorizzare prodotti da vendere e quindi li esaltano,  li mettono in primo piano come valori primari, li presentano come condizioni indispensabili per sentirsi adeguati, per non essere emarginati  e rifiutati.  Il bombardamento mediatico è così massiccio  che la capacità di giudizio e di critica viene sempre meno. I bambini poi, non essendo abituati a selezionare e a  riconoscere il vero valore da un inganno, subiscono il condizionamento in modo passivo.

Bisogna tornare ad educare i bambini fin da piccoli a farsi un’idea propria del valore delle cose e a saperla confrontare con gli altri. Bisogna parlare con loro e aiutarli a capire quanto vale una cosa per loro, che cosa gli dà valore, quando hanno capito che contava e perché è così importante.

È importante attivare un giudizio di valore anche sulle persone, sui comportamenti, avvenimenti; ma anche sui fattori interiori.

Questo insegnamento gli permette di imparare a sentire e vivere bene le situazioni, a saper capire gli altri che si incontrano e quindi a imparare a mettersi nella giusta relazione con loro.

È l’insegnamento che permette di vivere bene con gli altri, di saper scegliere gli amici e di sapersi divertire con loro. Permette di saper scambiare emozioni e calore e di sapersi adattare veramente all’ambiente. Permette di avere buoni rapporti e principalmente equilibrati; ma permette anche di cogliere la positività o la negatività di alcune situazioni od eventi personali e sociali. Permette infine di saper riconoscere i fattori interiori veramente importanti, di poterli vivere e comunicare al mondo.

Il sentimento è diverso dall’emozione in quanto è una funzione razionale che valuta il peso di una situazione o di un rapporto. L’emozione è invece un movimento energetico  attivato da un complesso che  è un centro di energia della psiche.

Quando un complesso viene toccato, risvegliato da una situazione o da una persona, si attiva e produce una reazione emotiva nei confronti di quella persona o di quella situazione. Quella reazione emotiva ha una potente tonalità affettiva e ha a che fare con l’inconscio.

E’ fondamentale educare i bambini a prendere coscienza anche delle emozioni, a saperle riconoscere, accettare, amare e gestire. Imparare a sentire le emozioni e quindi a pensarle, significa imparare a mettersi in rapporto con i motori interni della psiche, con i complessi, significa essere in relazione con l’inconscio e con  le parti più profonde e più vitali.

I genitori dovrebbero domandare ai bambini oltre a che cosa pensano di un determinato fatto o argomento, anche che cosa sentono dentro, quale emozione gli provoca. Mettere l’accento sulle emozioni significa dare spazio, voce e dignità a parti  che si trovano nelle fondamenta della personalità.

 

 

 

 

 

Dr.ssa Maria Grazia Vallorani

© 2011 – Tutti i diritti riservati. Il presente testo è liberamente riproducibile per uso personale con l’obbligo di citarne la fonte ed il divieto di modificarlo, anche parzialmente, per qualsiasi motivo. E’ vietato utilizzare il testo per fini lucrativi. Per qualsiasi altro uso è necessaria l’espressa autorizzazione dell’autore. Pubblicato nel Marzo 2011, online da Gennaio 2013. Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge

 


Educare all’intuizione e alla creatività.

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Educare all’intuizione e alla creatività.

 

L’intuizione.

L’intuizione è la funzione attraverso la quale si percepiscono le possibilità, cioè in quanti modi diversi si può fare una cosa. È anche il presentimento cioè la capacità di intuire anticipatamente quello che non è ancora visibile,  le potenzialità future di una situazione.

 La sensazione percepisce la realtà attraverso i sensi fisici, l’intuizione percepisce attraverso l’inconscio. L’intuizione è a diretto contatto con l’inconscio e riceve dall’inconscio lampi di genio, suggerimenti, spunti artistici.

 La parola intuizione viene dal latino intueor = guardare dentro e da intuitio = immagine riflessa dello specchio. L’intuizione è infatti un immagine che viene dall’inconscio e che si riflette sulla coscienza come in uno specchio.

Poiché viene dall’inconscio dove non c’è il tempo e lo spazio, riesce a cogliere aspetti  e germi del futuro, riesce ad avvertire modalità completamente nuove di approccio ad un problema, riesce a cogliere e a fiutare soluzioni originali.

 È la capacità creativa dell’artista che è in contatto con i germi del futuro e con germi universali che sanno parlare ad ogni uomo, perché sono immagini che corrispondono a livelli inconsci collettivi molto profondi.

 Educare all’intuizione  significa quindi favorire nel bambino la capacità di cogliere le possibilità: cioè in quanti modi possibili si può usare un oggetto, quante diverse possibilità ci sono di raccontare un evento, in quanti modi diversi si può esprimere un  sentimento.

E’ anche un abituarsi a non irrigidirsi mentalmente, a non fossilizzarsi, a non diventare  unilaterali. Imparare che le cose hanno più sfaccettature e si possono guardare in più modi e da più angolature e che ci sono tante diverse possibilità di affrontare problemi, servirà quando saranno adulti a non trovarsi bloccati in situazioni difficili e a trovare sempre una scappatoia.

 Educare all’intuizione significa anche  insegnare a fidarsi di sé, del proprio inconscio, della propria natura, del proprio seme profondo, del proprio Sè.  Essere aperti a quello che può venire dalla parte più ricca e più preziosa di noi, dove ci sono i tesori più importanti e il centro della nostra vita, significa essere centrati sulle cose che contano, essere se stessi, essere più completi. Questo permette di riconoscere i segnali, i simboli, i lampi, le premonizioni, i sentori strani che indicano la strada, che danno la soluzione, che scoprono aspetti profondi e sconosciuti.

 È uno degli insegnamenti più preziosi che un genitore può dare figli, perché è quello che gli permette di imparare a trovare soluzioni, a mettersi in contatto con i germi del futuro, a creare qualcosa di nuovo che non è mai esistito.

 

Educare all’intuizione significa anche educare alla creatività.

La creatività non è pensare a qualcosa di diverso, di nuovo rispetto a quello che è già stato fatto. Non è una invenzione razionale o un messaggio sociale e politico  espresso attraverso un’immagine.

La vera creatività è l’aprirsi e il mettersi in contatto con qualcosa di sconosciuto a se stessi e agli altri, qualcosa di sconosciuto dal passato e dal presente, qualcosa che non è posseduto da nessuno.

È il lasciarsi attraversare da qualcosa di autonomo, vitale, immediato, fulminante e imperioso che si impone e che deve assolutamente essere espresso. Immagine, idea, collegamento, sentimento che sia, è  una manifestazione dell’inconscio che ha deciso di rivelarsi a quella persona e in quel momento. È un messaggio universale che l’artista può e deve passare al mondo.

 Quando l’artista ha un lampo di genio, una rappresentazione fulminante è come posseduto da un’energia autonoma e potente che lo obbliga a produrre subito l’opera, cioè ad incarnare il messaggio inconscio che ha ricevuto. È un centro vitale che prende e che emana un energia archetipica collettiva ed è caratterizzato da una intensa tonalità affettiva. Infatti l’artista non conosce a livello razionale quello che sta facendo, è preso dalla tonalità affettiva in modo totale. Solo alla fine può cogliere il senso dell’opera.

 

 

 

 

 

Dr.ssa Maria Grazia Vallorani 

© 2011 – Tutti i diritti riservati. Il presente testo è liberamente riproducibile per uso personale con l’obbligo di citarne la fonte ed il divieto di modificarlo, anche parzialmente, per qualsiasi motivo. E’ vietato utilizzare il testo per fini lucrativi. Per qualsiasi altro uso è necessaria l’espressa autorizzazione dell’autore. Pubblicato nel Marzo 2011, online da Gennaio 2013. Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge

 

 


Educare alla fantasia

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Educare alla fantasia

 

Mentre la creatività è la capacità di pensare qualcosa che non c’è ma che potrebbe esistere nella realtà , la fantasia è la capacità di pensare qualcosa che non c’è e che non potrà mai esserci nella realtà fisica e concreta.

 La fantasia ha che fare con l’irreale, con un mondo dove le cose non corrispondono alla realtà conosciuta, alle coordinate razionali. Ha a che fare con un mondo dove tutto può succedere, dove le regole sono all’incontrario, dove tutto è possibile; assomiglia al mondo di Alice nel paese delle meraviglie.

Un mondo così fatto è il mondo dell’inconscio.Lo spunto di pensare ad un  abbinamento irreale tra due cose e reali,: cavallo alato, uomini-cavallo, il pesce che parla, un veliero fantasma, ha la sua origine e la sua funzione dall’inconscio.

 Il genitore educa la fantasia quando, inventando una favola, aiuta il figlio a lasciarsi cullare da emozioni e da fatti emotivi che possono così  prendere forma, voce ed essere rappresentati.

Un genitore che dà voce e sentimento ad un oggetto in una stanza, che gioca a dare un’anima alla realtà, a riempire il quotidiano di aspetti divertenti e riscaldati dal sentimento, apre la mente del figlio. Lo educa a non chiudersi in una forma razionalista arida e asettica, a non essere unilaterale, appiattito sulle conoscenze impartite, a non conformarsi, a non essere passivo, amorfo e inerte. Lo educa ad una mente plastica, libera, protagonista, fiduciosa, capace di giocare e di inventare.  In particolare lo abitua e gli insegna che è bello aggiungere alla realtà di tutti giorni, aspetti emotivi , desiderati, inventati, che portano freschezza, che rinnovano, che animano le cose  e gli danno sentimento e vita. E’  un vivere l’inconscio insieme alla coscienza, è un dare  l’anima al mondo, un rendere vivo ed affettivo quello che ci circonda.

 La cultura di una volta era piena di racconti inventati dagli anziani, di favole che suscitavano emozione, sentimento, che riscaldavano e attivavano altre fantasie. Ora queste abitudini sono state soppiantate dalla TV e dei cartoni animati. È venuto meno il racconto personale, il rapporto vivo, carico di emozione nella voce e nel corpo di chi racconta.

 Poiché la fantasia porta l’inconscio ad emergere è bene che sia contenuta da una persona adulta, genitori, educatore, oppure da un contenitore come la favola.

Le favole che sono state tramandate da molti anni (Grimm, Andersen, Mille e una notte) hanno in sé elementi inconsci di tipo collettivo, universale, che hanno una funzione importantissima di comunicare all’umanità il modo di vivere, i valori veri, il senso della vita, la soluzione dei problemi.

In alcuni cartoni animati moderni della TV si trovano a volte contenuti inconsci distruttivi e simboli archetipici negativi e attivatori di angosce primarie di morte, che hanno la funzione principale di spaventare  per attirare gli spettatori a fini commerciali. Per la mancanza di contenitori adeguati, arrivano ad attivare centri energetici interni negativi per la psiche e per lo stesso sviluppo.

È importante che i genitori intervengano per verificare  di persona quello che bambini vedono sotto forma di fantasia, senza fidarsi ad occhi chiusi dei programmi in commercio.

 Sarebbe meglio orientare i bambini anche ad altre forme di fantasia, ad inventare le favole, scriverle, disegnarle, drammatizzarle per poi riviverle nel rapporto caldo con i genitori e con i loro amici.

 

 

 

 

Dr.ssa Maria Grazia Vallorani 

© 2011 – Tutti i diritti riservati. Il presente testo è liberamente riproducibile per uso personale con l’obbligo di citarne la fonte ed il divieto di modificarlo, anche parzialmente, per qualsiasi motivo. E’ vietato utilizzare il testo per fini lucrativi. Per qualsiasi altro uso è necessaria l’espressa autorizzazione dell’autore. Pubblicato nel Marzo 2011, online da Gennaio 2013. Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge

 

 


Educare all’immaginazione

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Educare all’immaginazione

 

 

L’immaginazione non è un aspetto illusorio, fantastico e, privo di realtà come alcuni pensano. L’immaginazione è la capacità di rappresentarsi mentalmente qualcosa che è stato sperimentato: un elemento concreto, un pensiero, un’emozione, una sensazione, un’intuizione.

Nell’immagine mentale che si forma non c’è solo la rappresentazione di quello a cui ci si riferisce, ma c’è anche una parte emotiva,  inconscia. Nell’immagine è quindi presente una parte conscia e  una inconscia che si integrano in un tutto unico.  L’immagine è il contenitore dei due elementi e nel stesso tempo il luogo del loro incontro.  Il bambino che disegna genitori si rifà alla sua immagine interna;  questa riproduce: come li ha percepiti a livello ideativo, come li vive a livello emotivo, la presenza di paure, angosce, piacere nella relazione, e anche aspetti inconsci che ha colto nel loro modo di essere e che sono del tutto sconosciuti al suo Io e a quello dei genitori stessi.

L’immaginazione permette di attivare la capacità simbolica, la capacità del ” come se ” che stabilisce un ponte tra la realtà concreta e l’inconscio e che ha una fondamentale funzione trasformativa.

L’immaginazione è  la possibilità di accogliere in un contesto cosciente le stimolazioni dell’inconscio, le spinte irrazionali. L’immagine diventa così un contenitore  di qualcosa di più profondo che vuole apparire.  “Imago” significa anche visione, apparizione. Nell’immagine prende voce quello che non ha voce, forma  quello che non ha forma, spazio quello che non dà spazio, ritmo ciò che non ha tempo, materia ciò che non ha materia, corpo  ciò che è solo spirito.

 Anche gli archetipi che sono tendenze collettive,  innate e  inconoscibili, si manifestano sotto forma di immagini e, in modo specifico, attraverso una rappresentazione simbolica: la fata è il materno buono, la strega è il materno cattivo e distruttivo, l’orco è il paterno cattivo, il bambino è l’elemento nuovo, il vecchio la saggezza, e cosi via.

Il simbolo infatti  “incarna l’immagine di un contenuto trascendente il conscio” .  E’ qualcosa di misterioso, di impossibile da definire e da comprendere perché  è una realtà unitaria di conscio e inconscio e ha la funzione di determinare una trasformazione profonda. 

Le fiabe, i miti e le religioni sono infatti ricchi di simboli perché  hanno la facoltà di  attivare un cambiamento radicale della storia personale e collettiva  e perché rimandano  a un senso più ampio, universale e inconscio che non si può completamente spiegare.

Anche l’uomo produce simboli inconsciamente e spontaneamente sotto forma di sogni. I sogni sono caratterizzati da immagini simboliche che corrispondono alle parole del linguaggio dell’inconscio. I sogni sono le lettere che il  Sè, il seme originario,  ci invia ogni notte in per farci capire  con il suo linguaggio simbolico, chi siamo veramente, dove stiamo sbagliando, cosa ci serve in quel momento, qual è il progetto e la missione che abbiamo dentro e come realizzarla.

Nella nostra società l’immagine è usata in modo prevalente perché le imprese pubblicitarie e produttori di beni di consumo sanno bene quanto è efficace nell’entrare in modo immediato e diretto  anche nell’inconscio. Sanno che ha più potere del linguaggio scritto o verbale e la usano quindi per condizionare i comportamenti all’acquisto di alcuni prodotti o nell’impostare dei modi di essere collettivi e uniformi che si possono facilmente manipolare.

Tutti i soggetti con un Io debole e i bambini che non hanno ancora un Io formato e autonomo, sono quelli che assorbono di più questi messaggi. I bambini in particolare assorbono i comportamenti e modi di fare di personaggi dei cartoni animati con cui si identificano.

L’attenzione maggiore per l’immagine che i bambini e i giovani dimostrano, non dipende solo dalla loro predisposizione naturale ai contenuti inconsci, ma è dovuta anche al bisogno di elementi irrazionali, emotivi e simbolici che mancano nella nostra società.

La nostra società non ha più alcun riferimento con i simboli, che hanno l’importante funzione di collegarci con l’inconscio personale, collettivo e con lo spirito. Ha sostituito i simboli in cui si ritrovavano e si riconoscevano più persone, con i beni di consumo, la visibilità, il consenso e il successo sociale, il potere e il controllo.

Le persone hanno quindi perso il loro riferimento interno e i giovani è come se ricercassero nelle immagini una compensazione nei confronti di un mondo troppo invaso dal concreto, dal razionale, di un mondo che rifiuta e ha il terrore dei problemi, del dolore e della morte perché non è più capace di trovarne il senso e il significato.  

 Educare all’immaginazione i propri figli significa quindi dargli la capacità di richiamare da dentro di sé  le immagini interiori e poterle riproporre con il disegno, la pittura, scultura, poesia, racconto, diario, danza, musica, ritmo, canto, suono.

Significa insegnargli a vivere una dimensione inconscia e simbolica  che, non solo gli permette di difendersi meglio dalle immagini prefabbricate ed artefatte che vengono dall’esterno, ma gli permette anche di riconoscersi e di trovare la propria strada.

 

 

 

 

 

Dr.ssa Maria Grazia Vallorani 

© 2011 – Tutti i diritti riservati. Il presente testo è liberamente riproducibile per uso personale con l’obbligo di citarne la fonte ed il divieto di modificarlo, anche parzialmente, per qualsiasi motivo. E’ vietato utilizzare il testo per fini lucrativi. Per qualsiasi altro uso è necessaria l’espressa autorizzazione dell’autore. Pubblicato nel Marzo 2011, online da Gennaio 2013. Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge

 


Educare alla moralità

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Educare alla moralità

 

Moralità  viene da “mos-moris” che significa volontà, ma anche volontà che è diventata norma della condotta  e quindi costume, usanza, abitudine.

 La moralità è quindi la formazione della volontà. La volontà è la capacità di decidere in modo consapevole il proprio comportamento in vista di uno scopo. Viene dal latino : “volere” che significa decretare, ordinare,  stabilire. La volontà e quindi la capacità di dare un ordine al proprio comportamento.

 Educare alla moralità  significa quindi aiutare il bambino a darsi un ordine, a fare delle scelte in modo consapevole  e a saperle mettere in pratica in modo stabile, facendole così diventare una usanza, un costume.

 Prima bisogna quindi aiutarlo a rendersi conto della necessità di un ordine. L’istintività dei bambini è naturalmente incontrollata e selvaggia . Deve quindi essere contenuta,  essere delimitata. Non deve essere calpestata, repressa o umiliata, ma neppure lasciata  a se stessa. Ha bisogno di un limite, di un confine da rispettare; ha bisogno di essere protetta anche da se stessa e così diventa veramente libera.

All’inizio sono i genitori a dare dei limiti perché i bambini non hanno ancora la capacità di decidere in modo autonomo. Possono però cominciare a spiegargli il perché di quel limite; spiegare perché non è possibile mangiare sempre patatine fritte o perché non è il caso di usare i vestiti di cotone in inverno.

Spiegare però implica che il genitore sia fermo e stabile e non lasci che i bambino scavalchi il limite. I bambini infatti non supportano i confini per loro natura e fanno di tutto per sfidare o ricattare chi glieli impone. I genitori però devono fare in modo che questo non succeda perché scavalcare il limite significa per il bambino rimanere nell’istintività allo stato selvaggio e perdere la fiducia e la credibilità nella funzione paterna e di guida dei genitori.

L’istintività deve essere contenuta fin dal secondo anno di vita; se questo non avviene, si esprimerà anche negli anni successivi con atteggiamenti aggressivi, irruenti, incontrollati, sempre più difficili da controllare.

 Con il tempo bisogna insegnare al bambino a scegliere lui in quale modo darsi dei limiti e dei confini. Può scegliere i suoi tempi e i suoi modi, ma il comportamento deve essere ordinato secondo una finalità.  Il bambino  deve anche conoscere il perché  e la finalità  di quella abitudine che sta acquistando; deve conoscere a che cosa porta e cosa comporta non  seguirlo. Il lavarsi, il vestirsi da solo, andare a scuola e fare compiti devono avere un senso per lui. Le cose con un significato acquistano anima e diventano vitali per sé e per gli altri.

 Con l’educare alle scelte, l’abitudine e il costume diventano così personali e nello stesso tempo sociali. Aiutano il bambino a sentirsi bene con sè e con gli altri e particolarmente a sentirsi integrato e adeguato al contesto sociale in cui andrà a vivere.

 Per insegnare ai propri figli a darsi  dei confini, è importante che  i confini siano presenti anche nei genitori, perché i bambini non guardano solo quello che si dice  o che si fa, ma principalmente a quello che si è.

Quindi un genitore che soffre ancora per una mancanza di comprensione dei bisogni istintivi della sua infanzia ed è ancora arrabbiato contro genitori  troppo severi,  tende a reagire in modo automatico di fronte ai limiti imposti. Reagire al limite è come difendersi da una repressione ingiusta e autoritaria,  per questo tende a difendere se stesso e  anche il  figlio dalle regole  e inconsciamente collude, cioè prende le parti e si allea con l’istintività del figlio e con il suo rifiuto di essere limitato.

In questo modo il bambino si sente autorizzato nella sua pulsionalità senza limite, senza ordine senza scopo; si sente protetto da chi conta di più per lui e rischia di mantenere comportamenti che determinano sempre più disadattamento sociale, fino al rifiuto e all’isolamento.

 

 

 

 

 

Dr.ssa Maria Grazia Vallorani

© 2009 – Tutti i diritti riservati. Il presente testo è liberamente riproducibile per uso personale con l’obbligo di citarne la fonte ed il divieto di modificarlo, anche parzialmente, per qualsiasi motivo. E’ vietato utilizzare il testo per fini lucrativi. Per qualsiasi altro uso è necessaria l’espressa autorizzazione dell’autore. Pubblicato nel 2009, online da Gennaio 2013. Gli abusi saranno perseguiti a norma di legge