Educare alla moralità
Moralità viene da “mos-moris” che significa volontà, ma anche volontà che è diventata norma della condotta e quindi costume, usanza, abitudine.
La moralità è quindi la formazione della volontà. La volontà è la capacità di decidere in modo consapevole il proprio comportamento in vista di uno scopo. Viene dal latino : “volere” che significa decretare, ordinare, stabilire. La volontà e quindi la capacità di dare un ordine al proprio comportamento.
Educare alla moralità significa quindi aiutare il bambino a darsi un ordine, a fare delle scelte in modo consapevole e a saperle mettere in pratica in modo stabile, facendole così diventare una usanza, un costume.
Prima bisogna quindi aiutarlo a rendersi conto della necessità di un ordine. L’istintività dei bambini è naturalmente incontrollata e selvaggia . Deve quindi essere contenuta, essere delimitata. Non deve essere calpestata, repressa o umiliata, ma neppure lasciata a se stessa. Ha bisogno di un limite, di un confine da rispettare; ha bisogno di essere protetta anche da se stessa e così diventa veramente libera.
All’inizio sono i genitori a dare dei limiti perché i bambini non hanno ancora la capacità di decidere in modo autonomo. Possono però cominciare a spiegargli il perché di quel limite; spiegare perché non è possibile mangiare sempre patatine fritte o perché non è il caso di usare i vestiti di cotone in inverno.
Spiegare però implica che il genitore sia fermo e stabile e non lasci che i bambino scavalchi il limite. I bambini infatti non supportano i confini per loro natura e fanno di tutto per sfidare o ricattare chi glieli impone. I genitori però devono fare in modo che questo non succeda perché scavalcare il limite significa per il bambino rimanere nell’istintività allo stato selvaggio e perdere la fiducia e la credibilità nella funzione paterna e di guida dei genitori.
L’istintività deve essere contenuta fin dal secondo anno di vita; se questo non avviene, si esprimerà anche negli anni successivi con atteggiamenti aggressivi, irruenti, incontrollati, sempre più difficili da controllare.
Con il tempo bisogna insegnare al bambino a scegliere lui in quale modo darsi dei limiti e dei confini. Può scegliere i suoi tempi e i suoi modi, ma il comportamento deve essere ordinato secondo una finalità. Il bambino deve anche conoscere il perché e la finalità di quella abitudine che sta acquistando; deve conoscere a che cosa porta e cosa comporta non seguirlo. Il lavarsi, il vestirsi da solo, andare a scuola e fare compiti devono avere un senso per lui. Le cose con un significato acquistano anima e diventano vitali per sé e per gli altri.
Con l’educare alle scelte, l’abitudine e il costume diventano così personali e nello stesso tempo sociali. Aiutano il bambino a sentirsi bene con sè e con gli altri e particolarmente a sentirsi integrato e adeguato al contesto sociale in cui andrà a vivere.
Per insegnare ai propri figli a darsi dei confini, è importante che i confini siano presenti anche nei genitori, perché i bambini non guardano solo quello che si dice o che si fa, ma principalmente a quello che si è.
Quindi un genitore che soffre ancora per una mancanza di comprensione dei bisogni istintivi della sua infanzia ed è ancora arrabbiato contro genitori troppo severi, tende a reagire in modo automatico di fronte ai limiti imposti. Reagire al limite è come difendersi da una repressione ingiusta e autoritaria, per questo tende a difendere se stesso e anche il figlio dalle regole e inconsciamente collude, cioè prende le parti e si allea con l’istintività del figlio e con il suo rifiuto di essere limitato.
In questo modo il bambino si sente autorizzato nella sua pulsionalità senza limite, senza ordine senza scopo; si sente protetto da chi conta di più per lui e rischia di mantenere comportamenti che determinano sempre più disadattamento sociale, fino al rifiuto e all’isolamento.
Dr.ssa Maria Grazia Vallorani
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